Attualità

Radio sciabolata

Gli inizi con una sedia e un microfono in uno stadio fascista, Nicolò Carosio, la rivalità Ameri-Ciotti, fino a Repice. La storia italiana del racconto radiofonico del calcio, la «forma letteraria» che ancora oggi attira milioni di ascoltatori.

di Tommaso Naccari

1907. Se dovessimo trovare una data fondamentale per la storia del calcio vissuto alla radio, almeno per quanto riguarda l’Italia, il 1907 sarebbe sicuramente la prima da annotare. A quell’epoca le radio erano appannaggio esclusivo degli eserciti, e così sarebbe rimasto per lungo tempo, circa 15 anni. In quell’anno però, in Italia, vedevano la luce quelli che sono, a tutti gli effetti, i capostipiti del calcio in versione radiofonica: Giuseppe Sabelli Fiorentini e Nicolò Carosio. E per vedere il primo dei due all’opera, dalla data di partenza, bisogna fare un salto di 21 anni. Siamo allo Stadio del Partito Nazionale Fascista di Roma, fresco di ristrutturazione, sul gradino più alto della tribuna coperta e, in una cabina che ha come unici accessori una sedia e un microfono che cala dall’alto, un giovane, impomatato, Sabelli Fiorentini si appresta a raccontare Italia-Ungheria, partita valida per la Coppa Internazionale, match che sancirà anche la prima vittoria degli azzurri contro gli ungheresi dopo ben 7 partite, per 4 a 3. Quell’avventura, nata quasi per gioco, e costata alla Eiar, antenata della RAI, ben 100 lire, colpì da subito ascoltatori e addetti ai lavori. D’altronde non era una scommessa così azzardata, visto che oltreoceano lo sport in radio era ormai consuetudine, dopo che, il 2 luglio 1921, da Jersey City, la sfida tra i pesi massimi Jack Dempsey e Georges Carpentier aveva tenuto incollati all’apparecchio centinaia di ascoltatori. Negli anni immediatamente a venire, la Germania prima (1926) e l’Inghilterra poi (1927) portarono il football alla radio.

E proprio in Inghilterra la radiocronaca sportiva italiana vede le sue origini per come la conosciamo oggi. A far da pioniere il secondo dei già citati nativi del 1907: Nicolò Carosio, erede dell’ormai noto Sabelli Fiorentini. Carosio è poco più che un ragazzino quando, durante il percorso che lo porterà a laurearsi in giurisprudenza, si reca nei campetti intorno a Venezia, per dilettarsi con l’arte della radiocronaca. Arte che ha imparato ad apprezzare in Inghilterra, terra natia della madre, dove, in visita alla sede della Bbc, ebbe la fortuna di ascoltare un commento di Herbert Chapman, una delle figure più importanti nella storia del calcio. Chapman è un omone del secolo precedente, con alle spalle una carriera da calciatore poco più che modesta. Quando Carosio è in Inghilterra, Herbert è nel pieno della sua seconda vita calcistica, quella che lo vede nelle vesti di allenatore dell’Arsenal. A lui si devono diverse innovazioni: dagli attuali colori sociali dei Gunners all’utilizzo dei fisioterapisti nella preparazione della propria squadra. All’uomo nato a Kiveton Park si deve anche il pallone a spicchi bianchi e neri, l’introduzione dei numeri sulle spalle dei giocatori, l’uso dei riflettori per le partite in notturna. Egli è inoltre l’inventore del cosiddetto sistema, ovvero la retrocessione sulla linea difensiva del mediano, dando vita alla moderna figura dello stopper. Come se non bastasse, a Herbert Chapman dobbiamo anche la struttura della radiocronaca moderna. Carosio apprende in fretta e, nel 1932, tornato in Italia, richiede un colloquio all’Eiar. «Disposti accettare sua offerta, preghiamoLa confermare telegrafo sua venuta primo maggio Torino, rimborso lire 250 totali. Cordialità» recita il telegramma di risposta dell’antenata della Rai. Convocato negli studi, Carosio improvvisa un ipotetico Juventus-Bologna, ricco di goal, tanto che si racconta che, estasiati, i dirigenti, giunto al 5 a 5, gli proposero di firmare un contratto.

A Herbert Chapman dobbiamo anche la struttura della radiocronaca moderna. Carosio apprende in fretta e, nel 1932, tornato in Italia, richiede un colloquio all’Eiar.

Il suo esordio ufficiale è nel gennaio del 1933, a Bologna, la partita è Italia-Germania, ed è un esordio terrificante. I primi due minuti Carosio è muto, sembra quasi non trovare la forza di parlare. I successivi ottantotto, però, il sipario si apre su quello che sarà uno degli spettacoli radiofonici più potenti mai esistiti. In radio arrivano anche le prime radiocronache del campionato di Serie A. In radio passano però soltanto le cronache dei secondi tempi, misura adottata per paura che la gente potesse rinunciare allo stadio per la comodità della radiolina. Gli occhi, o meglio le orecchie, però, sono tutte per “Nicolocarosio”, come si presenta lui, tutto d’un fiato. Siamo in pieno regime fascista, i termini stranieri sono aboliti, non di certo una banalità per uno sport che fino a qualche tempo prima veniva chiamato football anche qui. E allora il radiocronista palermitano si inventa dei termini che, ancora oggi, fanno parte del vocabolario calcistico: il “goal” diventa “rete”, il “cross”, invece, “traversone”. Anche il “corner” cambia nome, diventando “calcio d’angolo”.

Al Mondiale del ’34 è lui il protagonista assoluto, e lo stesso si può dire del Mondiale del ’38. È la sua la voce narrante la vittoria in Coppa dei Campioni del Milan di Rocco e dell’Inter di Herrera. Le sue sono radiocronache inzuppate di pathos. Carosio non ha paura di dire la sua: se una partita è noiosa ci mette poco ad essere etichettata come “calcio da salotto”, apostrofa i calciatori senza mezzi termini, come successe con Meroni, calciatore del Torino, colpevole di portare una chioma troppo fluente: «Tagliarsi i capelli, giovane, altrimenti il pallone non lo vedi!». La sua, forse eccessiva, partecipazione ai match lo porta, durante i Mondiali del ’70 in Messico, a incappare in una gaffe che gli costerà il posto in Rai. Gigi Riva segna durante Italia-Israele, ma il guardalinee annulla. Carosio non ci sta e appella il guardalinee etiope in un modo non ben definito (sfortunatamente l’archivio radiofonico Rai è un po’ carente), ma tanto da suscitare lo sdegno del governo etiope, che chiede il suo allontanamento.

Nicolò Carosio ha 63 anni, ma da circa un decennio non è più la prima donna di casa Rai. Il 10 gennaio 1960, infatti, prende il via la trasmissione che farà innamorare migliaia di tifosi: Tutto Il Calcio Minuto Per Minuto. 
«Io nasco con Tutto Il Calcio Minuto Per Minuto, così come la mia generazione» mi racconta Francesco Repice, l’attuale commentatore della Nazionale di Calcio italiana, una delle voci principali della radio attuale, «la mia generazione grazie a questa trasmissione ha avuto un rapporto con la radiolina piuttosto fisico. Io ne ho rotte molte, per la rabbia, per la contentezza: ero un ascoltatore che partecipava come Conte partecipa alle partite dalla panchina. Ero un ragazzo di 13-14 anni, chiuso in camera, visto che vengo da una famiglia che mal sopportava il calcio, che ascoltava questi interventi e viveva con un’ansia terribile ciò che sentiva: ogni suono ti dava un’immagine, è chiaro che se tu sei tifoso della squadra che gioca in casa e senti un boato, probabilmente tutto ciò vorrà dire che la tua squadra ha segnato, o almeno te lo immagini. Vivi l’esperienza in maniera totale attraverso i dettagli».

A far innamorare Repice, insieme a una generazione intera, una trasmissione che si ispira ad una “sorella” francese, dedicata al rugby. Originariamente durante la messa in onda sono quattro i campi a vantare un collegamento dalla tribuna superiore, ancora, nonostante il nuovo format, per il solo secondo tempo, almeno fino al 1977, quando il presidente della Lega Carraro acconsentì ad una diretta radiofonica degli interi novanta minuti. Un programma che cattura, anche per il suo “linguaggio in codice”, che fa sentire gli ascoltatori ancora più protagonisti che i calciatori stessi, tanto che c’è chi, ancora oggi, non disdegna la diretta radiofonica per seguire la propria squadra del cuore. «La radio non morirà mai. C’è della radio anche su Internet, senza radio il web non ci sarebbe, almeno non così. C’è sia una matrice poetica che una pragmatica nella scelta dello zoccolo duro e abbastanza nutrito che ascolta il calcio alla radio» continua Repice. «C’è chi è in giro e ascolta per necessità la partita alla radio, chi invece, romanticamente, ascolta per scelta il racconto radiofonico. Credo possa essere definita addirittura una forma letteraria, anche se circoscritta alla cronaca. Alla fine noi siamo gli occhi di chi ci ascolta».

«Io nasco con Tutto Il Calcio Minuto Per Minuto, così come la mia generazione» (Francesco Repice).

E sono in molti, dal 1960 ad oggi, a essere stati «occhi degli ascoltatori». Due su tutti sono, senza dubbio, Enrico Ameri e Sandro Ciotti, che diedero vita a una delle rivalità più coinvolgenti di tutto il mondo radiofonico. Enrico Ameri, nato in Toscana ma cresciuto a Genova, è stata la voce principale di Tutto Il Calcio Minuto Per Minuto fino al 1991. Lui, come molti, era vissuto nel mito di Nicolò Carosio, sognando un giorno di diventare come lui. E Ameri ci riuscì: le sue radiocronache sono un fiume di parole in piena, un flusso incessante di parole che tengono incollato l’ascoltatore. Poche digressioni, un distillato di cronaca, scandito da una cadenza riconoscibilissima ed improvvise accelerazioni che aumentavano anche il battito di chi gli prestava orecchio. I suoi racconti sono così popolari che migliaia di spettatori assistono alle partite dal televisore muto, con in sottofondo la sua voce emessa dalla radio. Lui che con la televisione non era stato così fortunato: gli era stato preferito Aldo Biscardi alla conduzione de Il Processo Del Lunedì. Un uomo che aveva del burbero, un uomo chiuso, un uomo d’altri tempi in un calcio sempre più moderno.

Leggendarie le sue cronache, come quella d’Italia-Germania 4 a 3, durante i Mondiali del ’70: «Piatto di Gianni Rivera che batte Sepp Maier, impietrito come un ramarro», o quella durante la notte dell’Heysel, che entrò nelle case delle persone attraverso la sua voce, voce che aveva raccontato, tempo addietro, lo sbarco sulla Luna, 22 Giri d’Italia, 15 Tour de France e il discorso di Papa Paolo VI alle Nazioni Unite, visto che per lui Vittorio Veltroni, padre di Walter e, fin dal secondo dopoguerra a capo della redazione radiocronache e scopritore, tra gli altri, di figure come Mike Bongiorno, non vedeva un futuro da “semplice” cronista sportivo . L’addio è nel maggio del 1991, le partite sul groppone sono 1600, il discorso di chiusura del servizio, annoverabile come discorso d’addio, è, come direbbero nella Genova in cui è cresciuto, un continuo “mugugnare”: contro l’età che avanza, inesorabile, contro Aldo Biscardi, l’irriconoscente che aveva in mano la trasmissione che lui aveva plasmato, e una frecciatina al rivale che da dietro incalzava, smanioso di diventare la prima voce di Radio Rai: «Quando Ciotti fa un’intervista, ti ricordi solo di Sandro Ciotti». E Sandro Ciotti altro non è che la nemesi di Ameri.

La storia di Ciotti, per come la conosciamo noi, si può dire che principiò nel 1968, in Messico. Quattordici ore di diretta, sotto la pioggia, gli causarono un edema alle corde vocali. Le settimane successive furono impregnate di terrore, la paura di dover cambiare lavoro era grande. «Fortunatamente Sergio Zavoli e Paolo Rosi mi rassicurarono» racconterà «mi dissero che la raucedine sarebbe diventata un marchio di fabbrica». La voce rauca di Ciotti ammalierà gli spettatori da nord a sud, grazie alle sue cronache commentate, ricche di citazioni e divagazioni. D’altronde era un grande appassionato di musica, tanto da aver collaborato con Dario Fo ed Enzo Jannacci nella stesura di “Veronica”, canzone demenziale il cui testo verrà poi riportato nell’autobiografia, la stessa nella quale Ciotti si divertì ad accomunare i sette peccati capitali con sette esponenti di spicco del calcio mondiale. In Quarant’anni di Parole, edito da Rizzoli, Ciotti racconta di come, nella sua visione, Sacchi rappresentasse la superbia, Herrera l’avarizia e Gascoigne la lussuria, o di come Gino Capello, attaccante del Bologna degli anni ’40, fosse «almeno dal punto di vista strettamente tecnico, il più grande calciatore italiano di tutti i tempi».

E una frecciatina al rivale che da dietro incalzava, smanioso di diventare la prima voce di Radio Rai: «Quando Ciotti fa un’intervista, ti ricordi solo di Sandro Ciotti». E Sandro Ciotti altro non è che la nemesi di Ameri.

La trasmissione Trenta secondi con l’uomo del giorno lo lancerà definitivamente nell’Olimpo dei grandi radiocronisti.
 A fare compagnia a questi due grandi nella Hall Of Fame non può mancare Piero Pasini. «Quello che fece Pasini nel 1972 credo sia stato uno dei momenti più alti della storia della radio» confessa Francesco Repice. «Se dovessi scegliere un momento da ricordare, sicuramente indicherei quella diretta infinita al telefono». Dalla sede Rai di Bologna, Pasini è stata una delle tante voci di spicco di Tutto Il Calcio Minuto Per Minuto. A lui è intitolata la tribuna stampa del Dall’Ara, lo stadio di Bologna. Nel 1972 era l’unico giornalista presente nel villaggio olimpico durante l’assalto di Settembre Nero che prese in ostaggio, e uccise, 11 atleti israeliani e un poliziotto tedesco. 
A essere simbolica è anche la sua morte, che avvenne nella sua cabina al Dall’Ara, pochi istanti dopo aver raccontato il vantaggio di Eraldo Pecci contro la Fiorentina, per un arresto cardiaco.

Se dovessi scegliere un simbolo della radio dei giorni nostri, quella che ha da lottare con la super potenza delle pay Tv, sarebbe difficile non scegliere Riccardo Cucchi. Probabilmente sarebbe principalmente una questione di cuore, visto che è sua la voce che ha raccontato il trionfo mondiale del 2006, ma a colpire, prima ancora che i successi, è di certo il comportamento nelle sconfitte. «Subentrare a Riccardo Cucchi è una bella responsabilità, ci vuole tanto equilibrio, invidio molto l’aplomb di Riccardo. Mi ricordo ancora al Mondiale 2002, quando ero il terzo dei giornalisti al seguito della Nazionale, al suo seguito, accompagnato da Bruno Gentili» racconta Repice. «Se fossi stato io a raccontare la partita con la Corea, arbitrata dal signor Moreno, probabilmente non sarei riuscito a essere così equilibrato».
 Le grandi voci, ovviamente, non si contano: Nando Martellini, Alfredo Provenzali, Andra Boscione, Beppe Viola, Ezio Luzzi, Everardo Dalla Noce. Oggi, come già detto, la radio sportiva deve avere a che fare con televisioni dotate di telecamere anche nell’angolo più remoto del rettangolo verde. Eppure la fantasia è qualcosa che cattura ancora molti. Ricostruire l’azione narrata da una voce calda e rassicurante è una scelta che oggi, per necessità o romanticismo, milioni di persone ancora fanno. Segno che, forse, c’è ancora voglia di immaginare.