Attualità

L’ultimo imperatore

I 42 anni di Cuauhtémoc Blanco, il più grande giocatore messicano di sempre. Una storia lunghissima (Blanco gioca ancora), fatta di molti gol, molti assist e molte cadute, risse, squalifiche. La carriera unica di uno che è diventato molto più che un calciatore.

di Marco Capizzi

Nel 1521, per 75 giorni, il conquistador Hernan Cortés fu bloccato alle porte della capitale azteca Tenochtitlán. La città era stata fortificata fra il XIV e il XV secolo in mezzo al lago Texcoco dal popolo azteco: il mito vuole che la decisione di costruire la capitale su un’isola fu presa da un’aquila (particolare non da poco per questa storia) la quale si posò su un fico d’india della stessa isola, segno interpretato dagli Aztechi come propizio. Nel corso dei secoli il lago Texcoco si è prosciugato e ora, sulle ceneri di Tenochtitlán, sorge Città del Messico.

Il piano per fermare la sete di conquista dell’esercito spagnolo fu escogitato dall’imperatore Cuauhtémoc, che fece distruggere i ponti che collegavano il centro della città alla terraferma e si curò che il popolo avesse scorte di viveri sufficienti. Dopo più di due mesi però le truppe di Cortés conquistarono l’ultimo baluardo della civiltà azteca e misero fine all’impero. Cuauhtémoc venne catturato, ma tenuto in vita per volere del comandate spagnolo fino a qualche anno più tardi quando l’ultimo imperatore, travolto da sospetti di congiura, venne giustiziato.

Compie 42 anni Cuauhtémoc Blanco, storico numero 10 della Nazionale messicana e ora del Puebla, squadra della Primera División, dove continua a segnare nonostante l’età e qualche chilo di troppo.

Non è un caso che l’ultimo (e forse unico) imperatore del calcio centro-nord americano porti lo stesso nome dell’antico sovrano azteco. Compie 42 anni Cuauhtémoc Blanco, storico numero 10 della Nazionale messicana e ora del Puebla, squadra della Primera División, dove continua a segnare nonostante l’età e qualche chilo di troppo. Classe 1973, è senza dubbio il calciatore più amato nella storia dai messicani, con ventidue stagioni calcistiche all’attivo di cui due nel Valladolid, unica (e sfortunata) esperienza europea. Cresciuto nell’America, uno dei maggiori club messicani, ha poi girato per altre 7 squadre del suo Paese, nelle quali è sempre stato un uomo simbolo. Per capirne la popolarità oltreoceano e nel mondo: ha 1.64 milioni di follower su Twitter (più di Del Piero). È l’unico giocatore della sua nazione ad aver segnato in tutti e tre i Mondiali a cui ha partecipato (1998, 2002 e 2010), è stato capocannoniere della Confederations Cup 1999.

L’uomo del Mondiale

Per chi scrive, il Blanco più famoso è quello che ha vestito la tricolor, un po’ più di quello che segnava e faceva segnare in Messico. Il colpo di fulmine scatta a Francia ’98, sarà che è la prima grande competizione internazionale che ricordi, ma Blanco si presenta ai miei occhi di bambino come un giocatore apparentemente normale: non avrebbe mai potuto esultare togliendo la maglietta e mostrando gli addominali, goffo in alcuni movimenti, ma con due caratteristiche letali: un tiro micidiale e un’intelligenza calcistica fuori dal normale: sono più gli assist che i gol segnati (comunque tanti) in carriera. E poi quel nome così strano: Cuauhtémoc, un nome difficile da leggere, da scrivere, che rievoca un’antichità esotica, un impero lontanissimo. Fatto sta che a quei Mondiali con i suoi gol e soprattutto con i suoi assist a Hernández porta la Nazionale agli ottavi ai danni del Belgio di Wilmots (e proprio in quella partita segnerà il suo primo gol mondiale). Témo è in forma, è nel fiore della sua carriera calcistica, l’Europa lo affascina e decide di provare l’esperienza europea che però non va come si aspettava: allenamenti più pesanti, tatticismi, una squadra, il Valladolid, che non lo valorizza.

Si arriva alla Coppa del Mondo in Corea e Giappone: il Messico è in girone con l’Italia e Blanco, pur reduce da due stagioni pessime in Spagna, viene convocato ugualmente e ovviamente indossa la maglia numero 10. Chi scrive, ormai ragazzino, non vede l’ora di ammirare Blanco contro gli azzurri. E Cuauhtémoc non delude le aspettative. È il 13 giugno allo stadio di Oita in Giappone, la nazionale centramericana si porta in vantaggio con un colpo di testa di Borgetti in anticipo su Maldini a spiazzare Buffon. Chi fa il lancio perfetto dalla trequarti? Inutile rispondere. Quella partita è la vera e propria rivelazione di Blanco agli italiani che ancora non lo conoscevano: nel secondo tempo sguscia tra Zambrotta e Cannavaro grazie alla Cuauthémiña. La Cuauthémiña è un numero balistico che porta il suo nome, che ha inventato lui e che è al limite del regolamento: è quel tipo di dribbling in cui il calciatore trattiene la palla tra i due piedi saltando in avanti ed eludendo così il tentativo di contrasto dell’avversario. Apoteosi.

Ma è otto anni più tardi che la carriera del diez messicano ha il suo culmine. Nel frattempo, Blanco ne ha passate di tutti i colori: squalifiche dalla Nazionale, uno status da idolo negli Stati Uniti, comparsate in Tv, ma di questo se ne parlerà più avanti; per adesso ci interessa il Témo mondiale. Il torneo iridato è quello sudafricano e lui a 37 anni indossa ancora la maglia numero 10 della tricolor. Il fisico è lo stesso di dodici anni prima, praticamente senza collo e robusto, ma anche la freddezza è la medesima. È Francia-Messico, con i centramericani già avanti di un gol e i bleus travolti da scandali e ammutinamenti. Al 77′ si assegna un calcio di rigore per il Messico: sul dischetto va lui, entrato da pochi minuti. La rincorsa è lunghissima,  Blanco parte al di là della lunetta dell’area di rigore. Lo fa sempre, ha bisogno di corsa per liberare il tiro. Caratteristica che fa pensare che ogni volta che prende una rincorsa del genere, tirerà altissimo, e invece… Valbuena è di fianco a lui, e, in chissà quale lingua, gli urla di tutto per distrarlo. Lui è impassibile, ché forse in Messico ha vissuto situazioni peggiori, con un gesto del braccio sembra dire «vai avanti, continua». Blanco su un campo di calcio non è il tipo che si fa condizionare facilmente dall’ambiente. Rincorsa, tiro, gol di potenza. Qualificazione nel sacco: il telecronista messicano impazzisce urlando per dodici volte «Témo!»: avete in mente il «Totti Totti Totti» di Caressa nel 2006? Ecco: moltiplicatelo per quattro.

Il genio e la follia

I Mondiali sarebbero potuti essere stati quattro, ma nel 2006, in contrasto con il Ct La Volpe, non viene convocato, scatenando proteste e un corteo che parte dallo stadio Azteca e arriva alla sede della federazione calcio messicana. I motivi dell’esclusione, anche se mai ammessi da La Volpe che ha sempre parlato di scelte tattiche, sono disciplinari. Infatti Témo era appena uscito da un duro scontro verbale con Campos, l’ex portiere della Nazionale e vice del Ct, il quale aveva avuto la colpa di invitare Blanco a prendersi una pausa dalla Nazionale poiché non lo trovava in forma. La risposta dell’Imperatore non si fa attendere: con un’intervista al quotidiano sportivo Récord esplicita tutto il suo dissenso contro La Volpe e Campos: «Non so perché non sono stato convocato. Se mi dici di correre 20 km, lo faccio. Vorrei che La Volpe avesse il coraggio di dirmi le cose in faccia. Campos si è sempre calato i pantaloni di fronte a La Volpe, ma se lo incontrassi un giorno, gli farei tremare le gambe». Campos, per abbassare i toni, risponde con un «Si hablo, lo entierro» (serve una traduzione?).

Si aggiunga che nel 2004 Blanco passa il suo momento più buio: durante América – São Caetano, agli ottavi di finale di Copa Libertadores, sferra una gomitata in faccia all’avversario Anderson Lima. Cartellino rosso e rissa furiosa a fine partita con invasione di campo dei tifosi incitati dal numero dieci dell’América. Blanco paga una squalifica di un anno dalle competizioni internazionali. Contro La Volpe si vendica però un anno dopo in un América – Atlas (allenato dall’ex ct della tricolor): dopo aver segnato il gol del 2-0 corre davanti alla panchina del suo rivale sdraiandosi (alla Platini nella finale Intercontinentale, per intenderci) e lo guarda fisso negli occhi sorridendo. Perché Blanco è così, non è propriamente uno stinco di santo, né in campo, né fuori. Prima di un altro America – Atlas minaccia il portiere avversario Hernández: «Prega che non ti segni, perché il mio gol ti macchierà la carriera per sempre». Detto, fatto: gol su calcio di rigore ed esultanza a quattro zampe con una gamba alzata, come un cane, un perrito. In rete circola il video “Los 40 momentos de Cuauhtémoc Blanco”, in cui si possono ammirare queste e altre follie dell’inventore della Cuauthémiña che, diciamocelo, sarebbe una “trattenuta”, ma stiamo certi che in pochi hanno avuto il coraggio di fischiare fallo, anche perché Blanco non è uno che si fa scrupoli a parlare con l’arbitro: espulso nel 2004 per aver apostrofato la guardalinee Virginia Tovor, prima donna a fare l’assistente in prima divisione messicana con un «Ponete a lavar platos», vai a lavare i piatti.

The King

Una seconda giovinezza dopo i momenti difficili del biennio 2004-2006 Blanco la vive negli Stati Uniti, dove viene ingaggiato dai Chicago Fire per il triennio 2007-2010 (ma continua a tornare in prestito in Messico quando la Mls si ferma). Anche oltreconfine è lui la star, si diverte e fa segnare: 26 assist in 76 partite e 19 gol segnati. Uno di questi viene premiato come “Goal of the year” nel 2007: la partita è Chicago Fire-Real Salt Lake City. Si gioca in un campo di NFL dove le linee delle yard non sono nemmeno state cancellate. Lo stadio è pieno, la partita è ferma in un pareggio senza gol, abbastanza noioso e il primo tempo si sta trascinando verso la conclusione. C’è bisogno del colpo di un genio, che puntualmente arriva: il numero 10 dei Chicago si posiziona sulla linea delle 15 yarde, che nel campo di calcio è sui 25 metri, riceve palla da una punizione, stop con il piede destro, palla sul sinistro e tiro che va a baciare sotto l’incrocio dei pali opposto a dove Blanco si trova. Lui che usa sempre una rincorsa molto lunga, decide che non ce ne è bisogno e tira praticamente da fermo. Lo stadio impazzisce. Da quel momento e per sempre l’imperatore viene americanizzato in “The King” dai suoi tifosi americani.

Può risultare antipatico (diede dell’idiota a Carlos Vela per essersi rifiutato di andare agli ultimi Mondiali. Di Rafa Marquez disse: «In campo parla, ma gli mancano le palle: deve essere più crudele dentro lo spogliatoio»), supponente, ma a 42 anni suonati è ancora lì a segnare, appesantito (anche se leggero non lo è stato mai), ma pronto a scrivere ancora la sua storia. Una storia che dopo il mondiale sudafricano ha provato a cambiare dividendo la sua vita tra calcio e recitazione. Ingaggiato da una produzione messicana, interpreta il ruolo di Juanjo nella telenovela Triunfo del amor, tipica storia latina di amori, figli nascosti e ritrovati, gente che muore e ricompare. Tuttavia, le sue performance da attore non convincono, la produzione ritiene di dover tagliar il personaggio e Juanjo muore tragicamente. In un video, per sorridere un po’, si vede Blanco in versione attore (piange e basta), qui invece la morte del suo personaggio Juanjo. Dopo l’esperienza televisiva torna a dedicarsi al calcio, sfidando se stesso anche nella serie cadetta messicana per poi firmare per il Puebla, dove indossa la maglia numero 10 ed torna a segnare. Nonostante l’età, il fisico, il carattere.

Lo scorso 28 maggio, prima di partire per il Brasile, la tricolor gli ha dedicato l’addio alla Nazionale con un’amichevole contro Israele allo stadio Azteca di Città del Messico. Blanco gioca i primi 37 minuti, poche occasioni e pochi palloni toccati, ma al momento della sostituzione c’è un intero popolo in piedi ad applaudirlo, anche i telecronisti se ne accorgono. Un ritiro che sarebbe dignitoso, sognato, dopo 24 anni di carriera, eppure Témo non vuole smettere, indossa la maglia di una squadra da media classifica, il Puebla, che ha una particolarità fantastica per questa storia: lo stadio della città porta il nome proprio di quell’ultimo imperatore Azteco, Cuauhtémoc.

Lo scorso novembre segna la prima doppietta a quasi 42 anni. La sua squadra gioca in casa contro i Santos Laguna, che partono con i favori del pronostico: infatti avanti due a zero e partita che sembra chiusa. I padroni di casa però accorciano le distanze a inizio secondo tempo e raggiungono il pareggio proprio con il loro numero 10 entrato ad inizio ripresa. Il gol è speciale: calcio di  punizione dai 22 metri circa, la palla è posizionata  sul centro sinistra, una posizione simile a quella da dove Blanco aveva segnato, su azione, nella partita dei Chicago Fire contro il Salt Lake City. La rincorsa è lunghissima e io mi chiedo come faccia ad arrivare lucido sul pallone dopo 11 metri di rincorsa, eppure la palla non si alza, resta a un metro dal suolo, passa di fianco alla barriera (un compagno di Blanco è abile a sfilarsi dopo aver coperto la visuale al portiere) e gira fino a infilarsi alla destra del portiere dei Santos Laguna che non può nulla. Dueadue. Pareggio che però dura solo venti minuti perché gli avversari di Blanco e compagni si riportano avanti a dieci dal termine e partita che sembra chiusa. Ma al terzo e ultimo minuto di recupero c’è un calcio d’angolo per il Puebla, palla scodellata in mezzo con l’attaccante del Santos, Mauro Cejas, che per togliere la palla dalla testa di Blanco usa la mano: calcio di rigore. Il tempo è già scaduto, ma quel rigore si deve battere e dal dischetto non c’è nemmeno bisogno di dire chi va. La rincorsa è lunghissima, parte da oltre la lunetta dell’area di rigore, sobbalzo ripensando a quel Francia-Messico di quattro anni fa, tiro forte alla sinistra del portiere, gol, trepari, lo stadio esplode, il telecronista non si contiene e Témo fa guadagnare un punto prezioso alla squadra (dal minuto 3’38” lo show del diez). Il campionato messicano dopo una lunga pausa invernale è ripartito questa settimana, e Blanco non ha ancora  annunciato se si ritirerà a fine stagione.

Cuauhtémoc in azteco vuol dire “Aquila cadente”, come quell’aquila che si è posata sul fico d’india a Tenochtitlàn. Eppure lui sembra non voler cadere mai: la Pepsi ha scelto lui per lo spot messicano dello scorso maggio insieme a due altre leggende del calcio centramericano, Paco Palencia e Luis Hernández. I tre si chiamano al telefono e sembrano organizzarsi per giocare una partita “Hanno bisogno di noi”, dice Témo agli altri due. In realtà si trovano sul divano a tifare davanti al televisore bevendo Pepsi: «Como aficionado nunca te ritiras» conclude lo spot.

Un’ultima nota: Blanco pubblicizza Pepsi da molti anni, nel 2008 in uno spot sembra dire “Pecsi” e non “Pepsi” (tipica difficoltà di pronuncia dei latini). Successivamente Pepsi lancerà con un altro spot la “Pecsi”, dando due nomi alla bibita gassata in Messico: “Se dici Pecsi è come dire Pepsi” e ovviamente a lanciare l’iniziativa è proprio un ironico Blanco.

 

Illustrazione di Marco Fasolini