Attualità

I numeri di Van Gaal

Carta d'identità tattica del nuovo allenatore del Manchester United: dall'Ajax, al Barcellona, AZ Alkmaar, Bayern Monaco e Olanda, come gioca LVG, cosa chiede ai suoi giocatori, perché ha litigato con grandi campioni.

di Francesco Marinelli

Chi è e cosa ha fatto

Nel calcio l’interpretazione dei numeri e dei princìpi tattici conta, spesso e volentieri, più di quanto gli addetti ai lavori vogliono far credere. Uno degli esempi migliori nell’applicazione di questa tesi, nell’insieme dei due aspetti, è rappresentata dalla figura di Louis Van Gaal. Durante la sua carriera l’allenatore olandese ha avuto sempre in mente dei numeri, che stanno a indicare la disposizione (non tanto la posizione) dei calciatori che vanno in campo. Mentre la sua concezione di calcio (intesa come scienza del pensiero, mutevole e non rigida) deriva da una determinata interpretazione di quei numeri. Non si tratta soltanto di organizzare la propria squadra, ma riguarda l’ottenimento, attraverso l’interpretazione dei numeri, di un metodo che poi diventa un modello.

Nel mese di luglio Van Gaal è stato ingaggiato come allenatore dal Manchester United. La società inglese spera di aprire un nuovo ciclo vincente, dopo il pessimo rendimento dell’anno scorso (il peggiore degli ultimi venticinque anni), e Louis Van Gaal potrebbe essere l’uomo giusto, nonostante la squadra non sia stata molto rinforzata, almeno per il momento. Van Gaal ha già dimostrato in passato di poter costruire dei percorsi vincenti, senza prescindere però dall’azzeramento di tutto quello che c’era prima. Il suo metodo necessita di tempo, ma forse vale la pena aspettare: è stato così con l’Ajax, il Barcellona, l’AZ Alkmaar, il Bayern Monaco.

Nonostante avesse firmato il nuovo contratto con il Manchester United, Van Gaal ha portato comunque a buon fine il suo progetto con la nazionale olandese, al Mondiale in Brasile, come commissario tecnico. Ha ottenuto un buon risultato vincendo la medaglia di bronzo, un traguardo in parte inaspettato, considerando che le qualità tecniche della maggior parte dei calciatori titolari, per metà sconosciuti al grande pubblico, non erano eccezionali. A parte Van Persie, Robben, De Jong, Kuyt e Sneijder, gli altri erano tutti debuttanti al Mondiale. Seppur criticata dalla stampa nazionale per la scarsa qualità del suo gioco, la nazionale olandese ha meritato di essere considerata tra le favorite per la vittoria finale. Questo è stato possibile perché tra l’allenatore e i calciatori si sono create una grande sintonia e unità. Gli uomini di Van Gaal hanno fatto bene la loro parte di “interpreti di numeri”, come hanno saputo dimostrare bene nella partita iniziale, e spettacolare, contro i campioni in carica della Spagna, vinta per 5 a 1.

Chiamare Louis Van Gaal sulla panchina della propria squadra significa dargli una cartellina, fogli bianchi e una matita. Nel vero senso della parola. La situazione che si crea è capovolta rispetto ai canoni del processo istruttivo. Nel suo caso, è il maestro che studia i propri alunni: le caratteristiche tattiche, il carattere, come interpretano il proprio ruolo. C’è anche un’altra costante nella costruzione delle sue squadre: la presenza di pochi calciatori di esperienza, dei campioni veri, attorniati da giovani atleticamente preparati e pronti ad applicarsi al suo metodo. Quelli che non ci stanno e non si applicano, semplicemente, non giocano: quando era a Barcellona Van Gaal mandò Hristo Stoichkov (Pallone d’Oro nel 1994) ad allenarsi con la Squadra B, per motivi disciplinari. In caso contrario, cioè se la situazione di contrasto con i calciatori prende il sopravvento, è Van Gaal ad andarsene.

Louis Van Gaal ha vinto sette campionati nazionali (in tre nazioni diverse), tre Coppe nazionali, quattro Supercoppe nazionali, una Coppa Uefa, una Coppa dei Campioni, due Supercoppe europee, una Coppa Intercontinentale, una medaglia di bronzo al Mondiale. In un’intervista del 2008 l’allenatore olandese ha parlato esplicitamente di un “modulo Van Gaal”, che contraddistingue le sue squadre. Un modulo che preferisce chiamare «filosofia». Non si tratta di uno schema classico di gioco (come inteso generalmente), perché non è adattabile a ogni squadra: Van Gaal riesce a modellare la sua concezione di calcio in base ai giocatori che ha a disposizione, senza correre il rischio di trasformarla in un’ossessione tattica oltranzista, uguale a se stessa.

Dipende dall’interpretazione dei numeri. È l’allenatore, secondo Van Gaal, che deve dimostrarsi flessibile nel fare le scelte, pur rimanendo inflessibile per quanto riguarda la filosofia di gioco. Gli schemi delle sue squadre sono stati vari: all’Ajax si alternavano il quattro-tre-tre e il tre-tre-uno-tre; al Barcellona il due-tre-due-tre, all’AZ Alkmaar e al Bayern Monaco il quattro-due-tre-uno, con l’Olanda il tre-cinque-due, con il Manchester United il tre-quattro-uno-due. Tutti numeri interpretabili dai calciatori attraverso una filosofia mentale che deve essere condivisa e alimentata. Una «mentalità aperta», l’ha definita Van Gaal, da allenare tutti insieme. C’è poi la preparazione tattica: ogni calciatore deve sapere quale posizione occupare sul campo di gioco, come aiutare i propri compagni, come saper battere il proprio diretto avversario. Numeri e ideologia, variabilmente disciplinati.

La forte personalità di Van Gaal si riversa anche nei confronti dei dirigenti delle società e nei confronti dei calciatori che vuole o non vuole in squadra, determinando così l’andamento del mercato in entrata e in uscita. Paradossalmente, una delle volte in cui non è riuscito a perseguire questi obiettivi è stata con la nazionale olandese, durante la sua prima esperienza come commissario tecnico: si dimise nel 2002, dopo due anni di lavoro e senza aver partecipato all’Europeo e al Mondiale, perché alcuni calciatori si rifiutarono di seguire i suoi metodi: «Io sono quello che sono e ho i miei metodi. Non ho intenzione né voglia di cambiare», spiegò. Più o meno la stessa cosa successe quando lasciò il Barcellona (da dimissionario) nel 1999, dopo una sconfitta per due a zero contro il Celta Vigo: «A Vigo alcuni calciatori non hanno affrontato la situazione come sempre. Hanno ceduto alle pressioni: tutto quanto detto ha influito più di quanto abbia fatto io. Per questo ho cambiato idea», disse durante una conferenza stampa.

Ajax

Il 28 settembre 1991 Louis Van Gaal iniziò la sua carriera da allenatore all’Ajax, squadra in cui era cresciuto come calciatore, nel ruolo di difensore. Sei anni, vincenti, passati a insegnare calcio a giovani di belle speranze. L’Ajax del “calcio totale” degli anni Settanta influì molto sulla sua idea di gioco. Però era inevitabile cambiare, adattare alcuni di quei princìpi a un gioco evoluto. Si partiva dal tre-tre-uno-tre, si evolveva in fase di possesso palla in tre-uno-due-tre-uno. Il libero diventava mediano arretrato, “regista basso”, ma i difensori rimanevano comunque tre. Un centrale (Frank de Boer) e due terzini (Reiziger e Blind): questi ultimi potevano avanzare, rimanendo però accentrati.

In questo video si analizzano i movimenti dei calciatori dell’Ajax nella finale di Coppa dei Campioni del 1995, vinta per uno a zero contro il Milan.

Il gioco doveva passare dalle ali o arrivare tra i piedi della seconda punta (il finlandese Jari Litmanen). I centrocampisti centrali (Seedorf, Ronald de Boer, Davids) solitamente avanzavano verticalmente, lasciando la manovra sulle fasce a due ali larghissime (Finidi e Overmars) che giocavano praticamente sulla linea laterale: in fase offensiva sei calciatori erano costantemente in linea, o più avanti, rispetto alla posizione della palla. Davanti c’era una punta centrale (Patrick Kluivert o Ronald de Boer). Il calcio degli anni Novanta era questo, sintetizzando: corsa sulle fasce laterali, rapidi cambi di campo, contropiedi veloci. Inoltre, il tre-tre-uno-tre prevedeva una disposizione dei centrocampisti (in fase di partenza) a forma di rombo: una formula diventata molto comune negli anni successivi.

Barcellona

Il primo luglio 1997 Louis Van Gaal fu ingaggiato dal Barcellona, che veniva dalla gestione rivoluzionaria e vincente dell’olandese Johann Cruyff seguita dall’annata di Bobby Robson con Ronaldo in campo. Venduto Ronaldo all’Inter, il Barcellona doveva iniziare un nuovo ciclo. Inizialmente la cartellina, i fogli bianchi e la matita di Van Gaal dovevano servire a costruire un settore giovanile di futuri campioni per la prima squadra: lui doveva esserne il responsabile, mentre Bobby Robson doveva rimanere l’allenatore. Invece Van Gaal si sedette subito in panchina, per volontà dei dirigenti, mantenendo come suo assistente l’ex collaboratore di Bobby Robson: José Mourinho. La società voleva mandare via Mourinho, ma Van Gaal si oppose e lo volle tenere con sé: ascoltava i suoi consigli nell’intervallo delle partite e gli faceva allenare la prima squadra nelle amichevoli. Al Barcellona Van Gaal giocò quasi sempre con il due-tre-due-tre, alternandolo in poche occasioni con il “re-tre-uno-tre. Evidentemente, però, i calciatori non erano sempre in grado di interpretare al meglio quella idea, nonostante molti olandesi (ex Ajax) lo seguirono in Spagna. Vinsero con lui due campionati, una Coppa nazionale, una Supercoppa nazionale. Lo stesso Van Gaal non era però del tutto soddisfatto del percorso di crescita della squadra: spiegò che a differenza sua alcuni calciatori ex Ajax, su tutti Jari Litmanen, non erano stati bravi ad adattarsi alla nuova realtà di gioco.

Per Van Gaal conta la squadra, non il singolo, conta il modulo di gioco, non le giocate estemporanee dei campioni: una mentalità ostica da digerire all’inizio, soprattutto per chi aveva visto giocare nel Barcellona degli anni precedenti Ronaldo, Laudrup e Stoichkov. Eppure quel cambio di mentalità, incentrato sull’organizzazione della squadra, ha portato numerosi benefici che si sono riflettuti anche sugli anni successivi, con i successi di Frank Rijkaard e di Pep Guardiola (suoi ex calciatori). Secondo Van Gaal le qualità dei calciatori (che devono essere intercambiabili, cioè adattarsi a più ruoli nello schieramento di gioco) vengono esaltate dal modulo tattico: è Van Gaal a proporre ai suoi calciatori le varie soluzioni per lo sviluppo della manovra di gioco. Loro, poi, ci mettono le singole qualità.

Un video in cui Van Gaal spiega a Wayne Rooney come calciare in porta

A Barcellona Van Gaal impose che la sua concezione del calcio venisse insegnata a tutte le formazioni del club, dai pulcini alla prima squadra. Un metodo diventato modello nel Barcellona degli ultimi quindici anni. Perché Van Gaal credeva in questa impostazione? Perché secondo lui ogni calciatore, durante le sue fasi evolutive, deve poter passare a una categoria superiore (per esempio dalla Primavera alla prima squadra) in maniera indolore. In questo modo il giovane calciatore conosce già cosa gli verrà chiesto dall’allenatore e, in base al suo ruolo, riuscirà ad applicarsi facilmente ai princìpi tattici. Per questa ragione, Van Gaal teneva ogni settimana delle lunghe riunioni insieme a tutti gli altri allenatori delle varie categorie. Lasciò la panchina del Barcellona nel 2000 e ci tornò, per un breve periodo, nel 2002: fu esonerato per la seconda volta il 28 gennaio 2003.

Nonostante i successi ottenuti gli anni di Louis Van Gaal a Barcellona vengono spesso offuscati da quello che la società (con investimenti di altro calibro) e la squadra hanno ottenuto in seguito. I suoi metodi però erano ormai diventati un modello. E non a caso molti degli interpreti di quella squadra sono oggi tra i più importanti allenatori del mondo. Oltre a José Mourinho potremmo citare: Pep Guardiola (allenatore del Bayern Monaco), Frank de Boer (allenatore dell’Ajax), Luis Enrique (allenatore del Barcellona), Ronald Koeman (allenatore del Southampton), Phillip Cocu (allenatore del PSV Eindhoven), Sergi (allenatore del Recreativo de Huelva), Abelardo (allenatore dello Sporting Gijón).

AZ Alkmaar

Dopo essere stato richiamato dall’Ajax come direttore tecnico, Louis Van Gaal decise di andare ad allenare, a partire dal primo luglio 2005, l’AZ Alkmaar: squadra media olandese con un presidente ambizioso, pronto a dargli una nuova cartellina, fogli bianchi e una matita. Van Gaal conquistò il secondo posto in campionato nella prima stagione, il terzo posto in quella successiva (campionato perso all’ultima giornata), l’undicesimo al terzo anno, vittoria del campionato (la Eredivise olandese) al quarto tentativo. Eppure la stagione 2008-2009 era iniziata male, sulla scia di come si era conclusa quella precedente: la società, anche per esigenze di bilancio e d’accordo con Van Gaal, aveva deciso di puntare su una rosa di calciatori molto giovane. L’AZ Alkmaar fece una striscia di risultati positivi determinante: 28 partite senza perdere.

Bayern Monaco

Anche al Bayern Monaco – dove Van Gaal arrivò l’anno successivo, nel maggio 2009 – l’avvio fu molto lento: nella stagione 2009-2010 la squadra bavarese fu protagonista del peggior inizio di campionato dei suoi ultimi quarantatré anni di storia. Criticato dalla stampa, Van Gaal ci tenne a ribadire di voler mantenere un atteggiamento «arrogante» e «dominante», nonostante i pessimi risultati. Sono stati molti, tra l’altro, i litigi tra l’allenatore olandese e alcuni importanti calciatori (Rivaldo, Franck Ribery, Hristo Stoichkov, Luca Toni) e sono state molte le occasioni in cui si è infuriato con i giornalisti: famoso l’episodio del nunca pacifico a Barcellona.

Dopo dodici giornate di campionato il Bayern Monaco era ottavo in classifica. In Champions League, dopo aver superato il girone iniziale, eliminò la Fiorentina, il Manchester United, il Lione. Arrivò in finale contro l’Inter e perse per due a zero, contro una squadra decisamente più forte. La società si dovette accontentare della vittoria in campionato (Bundesliga) e della Coppa di Germania. Al primo anno. «Il calcio è uno sport di cervello, non di gambe», ha ripetuto in più occasioni Van Gaal, per questo ci vuole tempo. Al Bayern Monaco quel quattro-due-tre-uno rappresentava una grande novità: prevedeva una regia del gioco spostata sulle ali, un palleggiatore basso (Demichelis) e uno più avanzato (l’invenzione di Bastian Schweinsteiger in mezzo al campo). Arjen Robben e Franck Ribery giocavano invece larghi sulla linea laterale, il gioco passava sempre da loro, mentre Mario Gomez faceva l’attaccante da area di rigore.

La concezione di gioco si era evoluta ancora: non più contropiede rapido e cambi sulle fasce laterali (come ai tempi dell’Ajax), la costruzione era incentrata sul possesso palla delle ali, che diventano il fulcro del gioco, per arrivare in fondo e crossare o tagliare verso il centro. E poi la spinta dei terzini, come quella di Philipp Lahm. La Germania campione del mondo in Brasile è figlia della mentalità apportata da Jürgen Klinsmann commissario tecnico e portata avanti da Joachim Löw, ma deve molto all’ideologia del Bayern di Van Gaal. Una squadra, quella bavarese, che dopo un periodo di assimilazione ha dovuto fare ben poco per continuare a crescere (e vincere) negli anni successivi sotto la guida di Jupp Heynckes.

Il Bayern di Van Gaal impostava il gioco a partire dal portiere, cosa che oggi continua a fare (alla grande) con Manuel Neuer. L’azione iniziava dai piedi di Demichelis (regista basso), mentre i terzini dovevano solo pensare a salire. Si tratta di un tipo di gioco centripeto, per correre meno rischi, cercando spazi di manovra con i terzini che seguono con costanza la linea della palla. Questo permetteva di avere una squadra alta, molte possibilità di passaggio e poter gestire la verticalizzazione del gioco. A tutto questo si aggiungevano le sovrapposizioni alle ali esterne, che dovevano accentrarsi per il tiro o per fare gli inserimenti (Robben, Ribery, Olic).

Il pressing non doveva durare per più di cinque secondi, questo era il principio. Passati i cinque secondi la squadra doveva solo pensare a ricompattarsi.

In fase di non possesso palla, invece, la difesa aveva il compito di avvicinarsi alla linea dei centrocampisti: questo permetteva di creare densità in mezzo al campo e avere più uomini a protezione del regista, che in caso di recupero palla faceva ripartire l’azione (Van Bommel, Schweinsteiger), dando così la possibilità agli attaccanti di fare un pressing alto. Il pressing in area avversaria è stato uno dei punti principali dell’interpretazione dei numeri in campo, in quella squadra: il pressing non doveva durare per più di cinque secondi, questo era il principio. Passati i cinque secondi la squadra doveva solo pensare a ricompattarsi. Il Bayern Monaco di Van Gaal, in fase di non possesso palla, prevedeva che ogni calciatore coprisse un’area di circa 20 metri quadrati.

Olanda

Con l’Olanda, invece, Van Gaal ha alternato due diversi moduli: il tre-cinque-due e il quattro-tre-tre. Spesso l’interpretazione di questi numeri, da parte dei calciatori, era simultanea alla stessa partita, a seconda delle fasi di gioco. Lo schema tattico prevedeva l’uscita della palla attraverso i centrali “esterni” della difesa (Martins Indi e De Vrij), sempre molto larghi in fase di possesso. Lo “scarico della palla” doveva arrivare o ai laterali o a Sneijder, che aveva molta libertà di svariare tra le varie zone del campo. La richiesta di Van Gaal era semplice: la palla doveva sempre girare, a ritmi più o meno bassi. Di quella squadra si può ricordare infatti una buona gestione del pallone, a volte apparentemente insignificante. La palla doveva arrivare più avanti possibile, cercando di non concedere la possibilità alla difesa avversaria di allinearsi perfettamente. A questo dovevano pensare sia Sneijder, sia Robben.

Centralmente, grazie anche alla fisicità dei difensori, l’Olanda era praticamente inattaccabile. Diventava vulnerabile se i difensori venivano portati fuori posizione, verso l’esterno.

L’attaccante Robin van Persie doveva cercare principalmente la profondità, senza pensare di accorciare verso i centrocampisti, in modo da lasciare libertà per gli inserimenti di Robben o per concedere lo spazio per tirare a Sneijder. Gli esterni di centrocampo non dovevano mai tagliare verso il centro. Dovevano pensare soltanto alle sovrapposizioni, per i cross vicino alla linea di fondo. In fase difensiva, il centrale dei tre (per esempio Vlaar contro la Spagna), aveva invece il compito di pressare in uscita l’attaccante avversario, tenendolo spalle alla porta. Nel frattempo gli esterni di centrocampo dovevano arretrare e stringere, formando una difesa a quattro (più Vlaar in uscita). Van Gaal ha spiegato in diverse occasioni di voler concedere il possesso palla agli avversari soltanto nei casi in cui il loro gioco passa per le zone centrali del campo (come faceva la Spagna), più che sulle fasce laterali. Questo tipo di atteggiamento al Mondiale si è visto spesso: centralmente, grazie anche alla fisicità dei difensori, l’Olanda era praticamente inattaccabile. Diventava vulnerabile se i difensori venivano portati fuori posizione, verso l’esterno.

Al Mondiale in Brasile la personalità di Van Gaal si è espressa alla grande durante i calci di rigore contro la Costa Rica, nei quarti di finale. Avendo ancora a disposizione una sostituzione, prima della fine dei tempi supplementari, l’allenatore olandese decise di inserire uno dei portieri di riserva: al centoventesimo minuto di gioco il portiere titolare Jasper Cillessen venne sostituito da Tim Krul, in vista dei calci di rigore. Van Gaal poteva scegliere anche un altro portiere, per esempio Michel Vorm del Tottenham, che in carriera ha una buona media di rigori parati (circa uno ogni quattro). Van Gaal scelse invece Krul, che in carriera ne ha parati soltanto due più di Cillessen (ancora fermo a zero). Voleva semplicemente sorprendere gli avversari, perché immaginava che non conoscessero le abitudini di Krul. Anche in semifinale, contro l’Argentina, la partita è andata avanti fino ai calci di rigore. Questa seconda volta però Cillessen rimase in porta: la mossa non era replicabile, e comunque Van Gaal dovette fare altri tipi di sostituzione. Togliere nuovamente Cillessen avrebbe significato mortificarlo, in un certo senso. Da un’idea geniale sarebbe diventata una costante, inferendo per di più sulla fiducia del proprio portiere titolare.

Manchester United

Finita l’esperienza con la nazionale olandese Louis van Gaal ha iniziato quella sulla panchina del Manchester United. Al suo fianco, come assistente, avrà anche Ryan Giggs: bandiera dell’era di Alex Ferguson, “interim manager” (per quattro partite) nella scorsa disastrata stagione. Van Gaal, durante la conferenza stampa di presentazione, ha spiegato di averlo voluto fortemente con lui, perché avere una figura importante che ha già lavorato con la squadra è fondamentale (così come fece a Barcellona con Mourinho). Il capitano della squadra sarà Wayne Rooney, vice capitano lo scozzese Darren Fletcher: Van Gaal lo ha deciso dopo le settimane di allenamento negli Stati Uniti, avendo visto in lui il calciatore che si è adattato meglio.

Le partite giocate in queste settimane, e la prima partita di campionato in Premier League persa all’Old Trafford per due a uno contro lo Swansea, hanno iniziato a delineare a quale (nuovo) modulo tattico stia pensando Van Gaal. Piccola parentesi: l’inizio difficile era prevedibile e lo stesso Van Gaal lo aveva pronosticato durante la conferenza stampa prima del debutto in campionato: «La mia squadra è un gradino sotto alle altre grandi», aveva ammesso. D’altronde è abituato agli inizi difficili, come si è visto. Fin dalla prima partita amichevole, vinta per sette a zero contro i Los Angeles Galaxy, Van Gaal ha schierato il suo Manchester United con il tre-quattro-uno-due.

Un video che analizza i movimenti in fase offensiva e difensiva del Manchester United

Questa impostazione dovrebbe permettere a Van Gaal di schierare contemporaneamente Juan Mata, Wayne Rooney e Robin van Persie (assente contro lo Swansea, al suo posto ha giocato il messicano Hernandez). Come da tradizione a Van Gaal non è mancato il coraggio, nel fare la formazione: hanno giocato dall’inizio il difensore Tyler Blackett (20 anni) e il centrocampista Jesse Lingard (22 anni), entrambi debuttanti in Premier League con la prima squadra. Uno dei punti forti della squadra potrebbe essere rappresentato dal numero di giocatori offensivi adattabili in diverse posizioni. Un vantaggio da poter sfruttare in ogni partita in base all’avversario: Juan Mata, Wayne Rooney, Asheley Young, Nani, Shinij Kagawa, Adnan Januzai, Wilfried Zaha e Danny Welbeck garantiscono grande flessibilità nella disposizione in campo. Due giocatori importanti, in questo nuovo Manchester United, dovrebbero essere Luke Shaw (nuovo acquisto dal Southampton, classe 1995) che da esterno di centrocampo avrà anche il compito di abbassarsi per difendere con una linea a quattro e Phil Jones che, partendo da esterno destro, potrà passare davanti alla difesa a dare una mano ai centrocampisti, in fase di pressing.

A causa di alcuni infortunati Jones ha giocato la prima partita ufficiale in difesa, centro destra. Per questo contro lo Swansea si è visto poco questo meccanismo: a sinistra ha giocato Ashley Young (centrocampista esterno offensivo, che Van Gaal vorrebbe trasformare in esterno completo, come ha fatto con Dirk Kuyt al Mondiale). C’è ancora molto lavoro da fare però per ottenere questo risultato: per questo motivo la difesa “a tre” è rimasta sempre piuttosto bloccata, con Jones sul centro destra (22 anni), Chris Smalling centrale (24 anni) e Tyler Blackett sul centro sinistra (20 anni). A centrocampo hanno giocato, insieme a Lingard (fascia destra) e Young (fascia sinistra), lo scozzese Darren Fletcher e il nuovo acquisto Ander Herrera, proveniente dall’Athletic Bilbao.

In fase di possesso palla Fletcher ed Herrera avevano il compito di allargarsi per fare spazio a uno tra Mata e Rooney, che avevano invece il compito di andare incontro alla palla, proponendosi sulla tre quarti del campo. In attacco, al centro, ha giocato Hernandez: era sempre affiancato, per scambi rapidi e di prima, da Mata o da Rooney. Senza Van Persie in attacco ci sono stati pochi cross e dunque poche sovrapposizioni laterali. Va detto comunque che in questa fase erano molti gli infortunati ed è quindi difficile immaginare come potranno evolvere i movimenti dei calciatori in campo e le gestioni della fase offensiva e difensiva. La mano di Van Gaal si vedrà, anche se ci vorrà del tempo per incominciare a interpretare al meglio quei numeri.

 

Tutte le fotografie: Getty Images (in evidenza, Van Gaal alla prima di Premier; nel testo, Van Gaal in camicia durante Euro 2004, Van Gaal durante un Barcellona-Real Madrid, prima della finale di Champions League 2010)